domenica 18 giugno 2023

Nazionale 2023 - Amici Miei Atto VI

Domenica 11 giugno 2023 si è disputato il nostro quinto nazionale Amici Miei Atto V intitolato ai Presidenti irascibili delle squadre che hanno caratterizzato soprattutto gli anni di calcio del secolo scorso.

"C'è stato un tempo in cui il calcio era diverso, in cui a comandare le squadre della serie A non erano le multinazionali ma veri e propri padri-padroni con la loro passione, i loro soldi ma anche con i loro difetti e le loro stravaganze che rendevano tutto un po' meno serio, anzi, decisamente divertente. Un po' come facciamo noi del Subbuteo, giocatori-allenatori-presidenti, tutto insieme, di undici pupazzetti di plastica (vabbè, dodici, c'è anche il portierino) che schieriamo in campo e facciamo scivolare sul panno tra girelli, pallonetti, imprecazioni ben assestate ma, soprattutto, cibo e vino. Così, quando anche quest'anno gli Amici Miei hanno annunciato l'organizzazione del nazionale, non ci siamo fatti trovare impreparati al grande sforzo e si è cominciato ad approntare qualche piccola astuzia per per la buona riuscita del tutto. C'è chi ha indossato i calzini rossi di Costantino; altri l'impermeabile giallo di Aldo; si dice che uno di noi sia sgattaiolato furtivo nottetempo al club ed abbia cosparso i campi di sale, proprio come faceva Romeo; il più ardito, addirittura, è volato all'ultimo minuto a Santo Domingo a posare una rosa sulla tomba di Luciano. Abbiamo fatto tutto con amore e con stravaganza, come avrebbero fatto i presidentacci di una volta a cui abbiamo dedicato il torneo e che vorremmo che voi portaste in campo insieme alle loro squadre ed alla loro appassionata pazzia in modo che il tutto divenga “una questione di stile e di amore per il calcio”, come firmare un contratto su un tovagliolo di un bar".


ROMEO ANCONETANI (Pisa, 1978 – 1994)

Parole famose: “Il Pisa sono io”.

Pochi sanno che l'inizio della carriera del grande Romeo lo vide protagonista di una radiazione dal mondo del calcio nel 1955 per aver tentato di aggiustare un Poggibonsi - Pontassieve. Insomma, il ragazzo prometteva bene.

Divenne proprietario del Pisa nel 1978 utilizzando per l'acquisto il nome del figlio Adolfo e solo il trionfo mondiale dell'Italia del 1982 e la conseguente amnistia gli permisero di assumere la presidenza dei nerazzurri a tutti gli effetti.

Sotto di lui il Pisa visse gli anni più floridi della sua storia disputando ben 6 campionati di serie A, una semifinale di Coppa Italia nella stagione 1988/89 e vincendo ben 2 Mitropa Cup.

Portò sulla panchina della città toscana un Mircea Lucescu all'inizio della carriera e giocatori del calibro di Berggreen, la Scarpa d'Oro 1981/82 Wim Kieft, il futuro campione del mondo Carlos Dunga, senza dimenticare l'ingaggio di un giovanissimo Cholo Simeone.

A noi piace soprattutto ricordarlo intento a spargere il sale sul campo dell'Arena Garibaldi (oggi intitolata a lui) nel tentativo di scacciare la malasorte, con un invidiabile record personale di 26 kg nel 1990 prima di una gara col Cesena o quando portò la squadra in pellegrinaggio, a piedi scalzi, fino al santuario di Montenero.

Lascia il Pisa nel 1994 dopo un clamoroso fallimento e lascia tutti noi, in silenzio, nel 1999.

Sì, il Pisa è ancora lui.

 

COSTANTINO ROZZI (Ascoli, 1968 – 1994)

Parole famose: “Se può servire sono pronto a chiamare anche una fattucchiera: sarei anche disposto ad un compromesso col padreterno pur di salvare l'Ascoli”.

Costantino rilevò l'Ascoli in serie B nel 1968 con l'accordo che lo avrebbe tenuto un solo anno, giusto il tempo di risanare il bilancio societario. Invece se ne innamorò e non lo lascerà fino alla morte diventando così per tutti Il Presidentissimo.

Nel 1970 promuove dalla panchina della primavera il suo ex giocatore Carletto Mazzone ed è la svolta: dopo due ottimi campionati in serie B, nel 1974 arriva la prima agognata promozione in serie A, categoria che vide protagonista l'Ascoli per ben 14 stagioni fino alla morte di Rozzi. Indimenticabile il 5° posto finale nella stagione 1979/80 poi trasformatosi addirittura in 4° posto a seguito delle retrocessioni a tavolino di Milan e Lazio per la vicenda del totonero.

Tanti i talenti che hanno indossato la maglia dell'Ascoli di Rozzi: Brady, Giordano, Casagrande, Bierhoff, Novellino, Cvetkovic ma anche meteore indimenticabili come Arslanovic e Hugo Maradona, fratello del ben più noto Diego Armando.

Costantino ci lascia improvvisamente, a soli 65 anni, il 16 dicembre 1994, poco dopo una vittoria del suo Ascoli sul Pescara per 3-0, in seguito ad un'emorragia gastrica.

Lo ricordiamo con affetto attraverso i suoi gesti scramantici più famosi: il lancio al vento del cappotto di cammello o i celeberrimi calzini rossi che portava durante tutte le partite e che la squadra indossa ancora, tutti gli anni, in concomitanza con l'anniversario della sua morte.


MAURIZIO ZAMPARINI (Venezia, 1987 – 2002; Palermo, 2002 – 2018)

Parole famose: “Di tanti di questi esoneri mi sono pentito. Ho avuto grandi allenatori come Guidolin, Del Neri, Zaccheroni, Prandelli, Spalletti e ne dimentico altri. Il problema è che i miei ds mi hanno sempre riferito che le colpe erano degli allenatori, tecnici che a volte richiamavo anche due volte… Mi auguro di non esonerarne neppure uno: qualcuno meritava questa decisione, altri no”.

Maurizio, il Mangia Allenatori: 66 tecnici in una trentina d'anni di carriera, un vero record.

La sua avventura da presidente inizia nel 1986 al Pordenone ma già l'anno seguente acquista il Venezia e, dopo una fusione con il Mestre, parte la cavalcata che porterà i lagunari dalla C2 alla promozione in serie A conquistata nel 1998 dopo un trentennio nelle serie minori.

Sotto la guida di Novellino il primo anno nella massima serie risulta particolarmente ostico fino a gennaio quando, con la squadra mestamente all'ultimo posto, Zamparini porta a Venezia un fenomenale Alvaro Recoba che, in coppia con Pippo Maniero, trascinerà la squadra ad un'insperata rimonta ed alla salvezza.

Nel 2002, complice anche l'impossibilità di costruire un nuovo stadio in laguna dotato di centro commerciale, Maurizio emigra a sud e si compra il Palermo portando anche i rosanero, dopo oltre 30 anni di purgatorio, nella massima categoria in soli due anni. Addirittura durante la prima stagione in A della sua presidenza conquista una traguardo storico: il Palermo si qualifica per la prima volta in Coppa Uefa. Maurizio centrerà il traguardo in tutto per tre stagioni ed in due occasioni manca addirittura la qualificazione ai preliminari di Champions League per un paio di punti.

Palermo è testimone però anche di un altro record, la vera specialità della casa: la stagione 2015/16 vede avvicendarsi sulla panca siciliana ben 9 allenatori con Iachini e Ballardini addirittura richiamati due volte.

Tanti però anche i grandi nomi che Maurizio lancia in Italia tra i quali i futuri campioni del mondo Toni, Barzagli, Zaccardo e Grosso oltre a Cavani, Dybala, Belotti, Pastore, Amauri, Miccoli, Sirigu ed Ilicic.

Nel 2018, sommerso dai debiti, Zamparini cede il 100% delle quote del Palermo alla società londinese Mepal per il prezzo simbolico di 10 € e l'anno successivo viene messo agli arresti domiciliari per l'accusa di falso in bilancio ed autoriciclaggio ma il brutto, purtroppo, deve ancora venire.

Il 2 ottobre 2002 viene ritrovato senza vita, a Londra, il corpo del quinto figlio Armando, il più piccolo della famiglia, stroncato a soli 23 anni da un'ischemia: è l'inizio della fine.

Dice Foschi, storico ds di Zamparini: “Dopo la morte del figlio lui si è lasciato andare, piano piano. È stata una perdita troppo dolorosa, lui non ha retto”.

Maurizio ci lascia il 1° febbraio 2022, ad 80 anni, a seguito dell'aggravarsi di una forma di peritonite che l'aveva colpito nei giorni precedenti.

 

LUCIANO GAUCCI (Perugia, 1991 – 2004)

Parole famose: “A Perugia mi criticano, all'estero mi incensano. E' il mio destino”.

Luciano ci hai messo in crisi. Sembrava facile scrivere di te invece ne hai combinate talmente tante che servirebbe un libro intero per raccontarle tutte. Ma tant'è, si parte...

La prima cosa che fa Luciano è darsi all'ippica. Lo fa, però, con l'indimenticabile Tony Bin ed è subito trionfo. Trova il secondo amore nel mondo del calcio diventando azionista della Roma e raggiungendo la carica di vicepresidente. Più volte tenta di accaparrarsi la società giallorossa dopo che Viola lascia la presidenza ma, alla fine, acquista il Perugia in serie C1 e qui iniziano i fuochi artificiali.

Siamo costretti ad elencarne solo alcuni: si parte con un mezzo infarto provocato al povero mister Galeone per lo stress a cui lo sottopone.

Si fa squalificare per tre anni per aver corrotto l'arbitro dello spareggio promozione per la serie B contro il Siracusa regalandogli un cavallo. Non rispetterà mai la squalifica: si presenterà ogni domenica allo stadio sborsando, di volta in volta, 10 milioni di lire di multa.

Arrivato in A pesca, non si sa quanto volontariamente, il giapponese Nakata che si svela al mondo del calcio italiano con una doppietta alla Juve e diventerà un grandioso investimento. Gaucci si convince così di poter ripetere l'operazione milionaria. I risultati saranno Kaviedes (detto Inseminator per le capacità amatorie), Hilario, Lehkosuo, Samereh e, soprattutto, il cinese Ma ed il sudcoreano Ahn. Il primo viene acquistato per sbaglio dopo averlo confuso con il connazionale Li Tie osservato in videocassetta mentre il secondo è defenestrato da Gaucci dopo aver segnato il golden gol che condanna l'Italia all'eliminazione dai mondiali del 2002.

Altro ingaggio degno di eccezione è quello di Gheddafi, figlio del dittatore libico, calciatore improbabile, che collezionerà solo 15 minuti in una partita contro la Juventus di, guarda caso, possiede il 7% delle azioni ed i torinesi sono sponsorizzati dalla libica Tamoil.

La pista straniera non dà soddisfazioni e gli orizzonti di Luciano si allargano... alle ragazze: vuole a tutti i costi far giocare una donna nel suo Perugia sostenendo che non esista una regola che lo vieti. Prima ci prova con Hanna Ljungberg e poi con la miglior calciatrice dell'epoca, la tedesca Birgit Prinz alla quale offre 1 milione di euro ma la calciatrice, gentilmente, declina.

Siamo ormai ai botti finali, Luciano lascia il Perugia in una situazione economica disastrosa e parte per Santo Domingo. Venuto a sapere di essere convocato a processo per essere ritenuto dai giudici il presidente occulto dell'Ancona nel 1996/97 e quindi responsabile dell'ennesimo dissesto finanziario, decide di non tornare più costringendo i figli ad accollarsi tutte le responsabilità ed al carcere.

Nel paradiso dei tropici c'è tempo per il quarto matrimonio e per il sesto figlio, a 71 anni.

Malato da qualche anno di Alzheimer ci lascia il 1 febbraio 2020 all'età di 81 anni.

Quante ne hai combinate Luciano...

 

MASSIMO CELLINO (Cagliari 1992 – 2014, Brescia 2017 – oggi)

Parole famose: “Quel mese in prigione quasi quasi è stato il più bello della mia vita: quattro vittorie su quattro! Non volevo più uscire. Se rimango qui, pensavo, vinciamo lo scudetto”.

Massimo inizia l'avventura nel mondo del calcio nel 1992 quando rileva dalla famiglia Orrù il Cagliari e, sotto la sua gestione, lo porta a disputare ben 17 campionati di serie A, due semifinali di Coppa Italia ed una semifinale di Coppa Uefa persa contro l'Inter.

Amche lui rientra nella categoria dei presidenti mangia allenatori (anche se non al livello di Zamparini): sulla panchina dei sardi si alternano ben 27 allenatori in 20 di gestione, mentre a Brescia siamo ancora a quota 8 in quasi 6 anni.

Come i già citati Anconetani e Rozzi rientra anche tra i presidenti scaramantici con plurimi accorgimenti contro la sfortuna come le bandane distribuite sugli spalti, l'invito a vestirsi di colore viola in occasione di una partita giocata di venerdì 17, l'avversione verso la maglia numero 17, le numerose benedizioni richieste al vescovo o la sostituzione del numero del suo seggiolino al Sant'Elia dal 17 al 16B.

La legge non gli è amica: oltre ai guai giudiziari in ambito lavorativo nel 2013 viene arrestato insieme al sindaco di Quartu Sant'Elena per tentato peculato e falso ideologico in merito al lavori di adeguamento dello stadio Is Arenas, imòianto sorto in un lampo su di un campo di calcio dilettantistico per sostituire a tempo di record il vetusto Sant'Elia.

Da Massimo ci aspettiamo ancora una cosa, ormai entrata nel mito: nell'agosto 20003 annuncia l'uscita di un non meglio precisato documento storico che avrebbe portato il calcio o alla morte oppure alla definitiva rinascita. Massimo, noi siamo sempre in attesa.

 

 ANTONIO SIBILIA (Avellino, 1970 – 1999)

 Parole famose: “Non sono un padrino. Sono un dittatore, un grande dittatore”.

 L'Avellino deve tutto ad Antonio: orfano di padre a 13 anni, muratore da subito per mantenere i sei fratelli, nel dopoguerra compra due camion ed una scavatrice dagli americani, diventa costruttore edile, prende in mano la società nel 1970 in serie C1, nel 1975 approda in B e, nel 1978, finalmente arriva la prima serie A, categoria che mantenne per ben dieci anni consecutivi, un'enormità per la piccola cittadina del sud.

Presidente dalle frequentazioni decisamente pericolose: nel 1981 i giudici anticamorra lo condannano a tre anni di soggiorno obbligato a Trento dove, però, rimane solo tre giorni.

Durante lo stesso anno il giornalista Luigi Necco rivela che Juary, su impulso di Antonio, regalò al capoclan camorrista Raffaele Cutolo una medaglia d'oro con dedica. Qualche tempo dopo, prima di un Avellino – Cesena, Necco viene gambizzato da tre uomini mandati da Vincenzo Casillo, luogotenente di Cutolo. Sibilia verrà sospettato di essere il vero responsabile dell'aggressione.

Nel 1983 è arrestato al Gallia di Milano, accusato di essere il mandante del tentato omicidio del procuratore Gagliardi. Trascorre cinque anni agli arresti domiciliari ma il seguente processo lo vedrà assolto, dopo ben dieci anni, per insufficienza di prove.

Antonio non aveva solo amicizie dubbie ma anche fiuto per il calcio: celebri le cessioni alla Juve di Tacconi, Favero e Vignola per 13 miliardi e di De Napoli al Napoli per 5 miliardi.

Lascia un Avellino ormai sommerso dai debiti nel 1999 anche se , più volte, dirà di volerselo riprendere.

Muore nel 2014 a 93 anni.

 

VITTORIO CECCHI GORI (Fiorentina, 1993 – 2002)

Parole famose: “Dico subito che non la vendo (la Fiorentina, ndr), piuttosto la disintegro con le mie mani. La comprò il mi' babbo, è un fatto affettivo e, adesso, anche economico”.

Vittorio prende le redini della società nel 1993, subito dopo la morte del padre Mario. La Fiorentina è appena retrocessa dopo 55 anni in serie B e bisogna rimediare immediatamente.

Batistuta in campo e Ranieri in panchina trascinano la viola ad un'agevole vittoria del campionato cadetto a cui seguiranno anni di soddisfazioni culminati con le vittorie di Coppa Italia e Supercoppa Italiana.

Vittorio regala a Firenze ottimi giocatori: oltre al già citato Batistuta come non nominare Rui Costa, Toldo, Chiesa, Effenberg, Di Livio, Mijatovic. Non ci scordiamo infine di colui che avrebbe potuto regalare lo scudetto, il brasiliano Edmundo.

Il 1998 vede l'approdo sulla panchina viola di Giovanni Trapattoni e la squadra inizialmente vola, ritrovandosi addirittura campione d'inverno. Sembra l'anno buono ma a febbraio Batistuta si infortuna e colui che dovrebbe sostituirlo, Edmundo appunto, sceglie di partire per il carnevale di Rio de Janeiro invece che restare a combattere per il titolo, come previsto da una bizzarra clausola nel suo contratto.

Senza le due punte la Fiorentina precipita al quarto posto e, dopo il rientro dei due, strappa solamente un terzo posto finale a 14 punti dal Milan campione.

E' il picco più alto della gestione Cecchi Gori: nel 2001 il tribunale di Firenze apre un'istanza fallimentare nei confronti della società ipotizzando uno stato di insolvenza relativo a 70 miliardi di lire relativi alla vendita di Batistuta e sottratti alla disponibilità del club per girarli alla Fin.Ma.Vi, la finanziaria della famiglia Cecchi Gori, soffermandosi inoltre sui 318 miliardi di debiti a carico della società.

Il presidente è costretto a vendere le stelle Toldo e Rui Costa oltre a dimettersi dalla sua carica.

I guai giudiziari non lo lasceranno più: dal 2020 Vittorio si trova agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta, sono decisamente lontani i tempi in cui, in cambio di 7 reti, prometteva al brasiliano Marcio Santos una cena con Sharon Stone.

 

ANGELO MASSIMINO (Catania, 1969 – 1996)

Parole famose: “Al Catania manca amalgama? Ditemi dove gioca che lo compro”.

 Anche Angelo era soprannominato Il Presidentissimo: il Catania è indissolubilmente legato a lui che, più di una volta, ha salvato la società sia con i soldi che, soprattutto, con la passione.

Il salto nel calcio che conta arriva nel 1969 quando lascia la sua Massimiana (nel frattempo portata in serie D dalla Prima Categoria) e rileva la proprietà del Catania centrando quasi subito, nel 1970, la promozione nella massima serie.

L'esperienza dura poco e l'ultimo posto in classifica, il ritorno in serie B ed i conseguenti brutti risultati nella serie cadetta spingono il Presidentissimo a rassegnare le sue prime dimissioni.

Il Catania retrocede in serie C e già nel 1974 il sindaco richiama alla guida della società il buon Angelo che accetta e, nel 1983, riporta i rossoazzurri in serie A. Anche questa volta però la permanenza è fugace: 1 sola vittoria in 30 partite porta ancora una volta alla disastrosa retrocessione. La discesa non si ferma e nel 1987 arriva anche la serie C1 e le seconde dimissioni di Massimino.

Nel 1992 il Catania è ancora allo sbando: cinque stagioni in C1 ed una situazione economica disastrosa necessitano dell'ennesimo ritorno di Angelo che rileva il 73,5% delle quote della società e riprende il suo posto di Presidentissimo.

I guai non sono finiti: l'anno successivo, in seguito al mancato pagamento di una fidejussione, gli etnei vengono esclusi dal campionato e solo successivamente ammessi all'Eccellenza.

Massimino non si ferma: in due stagioni ritorna in C2 ma poi tutto si ferma tragicamente.

Il 4 marzo 1996, di ritorno da Palermo, ha un tremendo incidente automobilistico e perde la vita a 69 anni.

Catania, ancora oggi, gli è riconoscente.

 

 AURELIO DE LAURENTIIS (Napoli, 2004 – oggi)

 Parole famose: “Siete delle merde, voglio tornare a fare cinema!”

 Aurelio entra di prepotenza nella storia del Napoli quando la società sta passando il momento più disastroso della sua esistenza. I fasti dei tempi di Maradona, quando si castigavano le tanto odiate squadre del nord sono lontani e la squadra ora è precipitata addirittura in C1 con il nome di Napoli Soccer.

Il magnate del cinema sborsa 32 milioni, salva gli azzurri e, nel giro di soli tre anni, li riporta in serie A.

I passaggi successivi, oltre alle vittorie in Coppa Italia (3 volte) ed in Supercoppa italiana, sono quelli di tutelare a tutti i costi la società. Nel 2009 si fa eleggere consigliere della Lega calcio e manterrà durante la sua presidenza un clima di guerra costante contro tutto e tutti tanto che sarà obbiettivo di vari procedimenti disciplinari e famose sono le sue sfuriate, non ultime quelle verso i suoi calciatori che decidono di lasciare Napoli, su tutti i pezzi da novanta Cavani e Higuain.

Ad oggi la guerra di Aurelio continua ma ancora non è arrivato il grande sogno, il terzo scudetto, anche se, mentre stiamo scrivendo, nella prima metà di gennaio, l'annata sembra partita bene: non ci sembra il caso, però, di aggiungere altro, da quelle parti sono particolarmente scaramantici.

Infine, ricordatevi sempre: siete tutti delle merde.

 

EDMEO LUGARESI (Cesena, 1980 – 2002)

Parole famose: “Siamo una famiglia insomma, abbiamo una società per azione con un, diciamo così, con un eeeeeeeh, con un minimo di di di di coso che fa veramente, per fare, un... diii... di quello che può essere diciamo, il... l'effettivo di di di quello che abbiam messo fuori, eh è è poc, è molto poco.

Di conseguenza... molto poco, siamo impegnati però per quello che è diciamo una società piccola e modesta”.

 “Io direi di fare una cena, magari alla fine del campionato, trovarsi tutti, riderci sopra, perchè sarebbe bello anche drammatizzare un po' tutto quanto. Mi sembra che, tutto sommato, venire prima sarebbe bello venire alla domenica dopo, al derby, perchè venir prima si può fare un mare di, di... di così... di quello che potrebbe essere la partita del... che si gioca il giorno, la domenica dopo. Magari incontrarci il lunedì dopo. Ma mi sembra che lei dica però proprio di venire quest'altro lunedì”.

 Dai, dobbiamo aggiungere altro? Ma sì, ancora una cosa...

 “Non è indispensabile avere una laurea e parlare bene per essere rispettato. Se hai il coraggio delle tue idee e non hai paura di dirle, guadagni la stima di tutti. E quando parlavo io, in Lega a Milano mi ascoltavano”.

 

BONUS TRACK: TINO LIBERALI (Borgarello, da sempre – infinito)

Parole famose: “Domenica ha vinto la prima squadra e ha vinto la juniores: ero così contento che sono andato a casa e ho montato la donna”.

Il Tino è stato il mio presidente al Borgarello, una vita in rossoblu a fare avanti ed indietro tra la Seconda e la Terza Categoria. Un caratteraccio pessimo ed una passione ancora più grande. Presidente dall'inizio dei tempi e fino alla sua scomparsa, per anni unico componente della società proprio per via di quel caratteraccio e quindi numero uno sì, ma anche direttore sportivo, segretario alle prese con i tesseramenti, contabile, magazziniere intento a stendere le maglie dopo la lavatrice e primo ultras in tribuna. Talmente ultras che, durante una trasferta a Pavia in casa della Folgore, quando il mister disse al sottoscritto di scaldarsi perchè un nostro centrocampista si era infortunato, mi vide alzarmi dalla panchina e, dall'altra parte del campo, espose il suo pacato punto di vista, urlando: “No, non fare entrare quello lì!” Tutto naturalmente in dialetto pavese. L'ho sempre considerato un grande attestato di stima nei confronti delle mie indubbie capacità pedatorie.

Poi c'è stata anche quella volta, in trasferta a Rosate: poche giornate alla fine del campionato di Seconda, loro primi, rullo compressore della stagione e noi a giocarci le ultime possibilità di non retrocedere: andiamo in vantaggio e manteniamo lo 0-1 fino al 89', già pregustavamo il colpaccio rinchiusi nel nostro carapace difensivo. Il Tino lascia la tribuna e si piazza dietro alla nostra porta, aggrappato alla rete di recinzione. Al 90' però ci segnano: grande delusione, ma resta un punto d'oro in chiave salvezza. Peccato ci sia ancora il recupero. La loro punta ci scappa, si presenta davanti al portiere in uscita bassa e con un tocco leggerissimo lo supera: il tragitto della palla fino alla linea di porta è quanto di più lento potete immaginare. Preso dalla trance agonistica il Tino comincia a spingere la rete di recinzione nell'illusione di poter fermare quel pallone che, naturalmente, rotola in gol... perdiamo e contemporaneamente il Tino sviene.

Ora a Borgarello il campo sportivo è intitolato a lui e, nonostante tutti i litigi e le urla, al Tino, io voglio un gran bene

 e ora passiamo al giusto riconoscimento dei vincitori.

Vincitore prima fascia: Luca64


Vincitore seconda fascia: Giovi08


Vincitore terza fascia: Ancosal


Complimenti a tutti e ringraziamo gli "Amici Miei" che hanno deciso di trascorrere una piacevole giornata con Noi, al prossimo anno !!!



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